
La moda è cultura, è politica, è arte. Mounia Meddour non deve dirlo, ce lo fa vedere e sentire quando in una delle scene più belle del film mostra l’emozione della sua protagonista mentre tocca le stoffe, mentre dà forma a un abito, mentre il suono e l’immagine comunicano il senso fisico del tessuto. Non conosci Papicha racconta di questa ragazza che nella Algeri degli anni ’90, squassata dalla guerra civile e dalla reazione islamista, vuole diventare stilista, creare e vendere i suoi abiti, organizzare sfilate.
L’atrocità del mondo contro l’esigenza della bellezza, guerra contro arte: una dualismo forse un po’ facile, ma la regista – al primo lungo di finzione dopo vari documentari – lo fa aderire alla personalità delle sue attrici, ne trae fuori la vitalità, non cede al ricatto in fondo maschilista della tragedia e affronta una storia vera facendone un inno alla vita e alla Storia: come i veli della nonna che nascondevano armi durante le rivolte del passato, i vestiti di Papicha nascondono la voglia di resistere, il sotto-testo politico fa emergere il racconto palpitante di una gioventù.