
La cosa più interessante di Estasi – al netto dell’erotismo, del nudo di Hedy Lamarr e dell’orgasmo in primo piano – è il modo in cui Machaty decide di raccontare la storia di un matrimonio infelice e della passione che erompe da un tradimento: come un film muto, nonostante il film sia sonore, ovvero facendo in modo che la maggior parte degli elementi narrativi passino esclusivamente dalle immagini e dalla musica senza che le parole – nemmeno quelle delle didascalie – intervengano.
I personaggi, le loro azioni, il loro significato scaturisce direttamente dalle inquadrature e dal loro accostamento, guardando in questo senso alle avanguardie e alle teorie russe del montaggio: tecnica narrativa in controtendenza che oggi appare un po’ affascinante e un po’ semplice, ma che dà un’impronta precisa e decisa al film. Soprattutto però impressiona il modo in cui il ceco riprende la natura e la usa come veicolo mitico e metaforico della passione (almeno prima che un certo côté tradizionalista si riaffacci), l’enfasi estetica nel riprendere il vento, gli animali, i laghi e le distese erbose, in cui suggerisce il senso panico di quella che comunemente è chiamata trasgressione: anche per questo il film fece scandalo, perché faceva rientrare il piacere femminile e il diritto a esso nell’alveo della natura, disinnescandone letteralmente la natura oscena e dandogli il suo senso quasi arcaico.